Area Chirurgica
La Divisione di Ortopedia e Traumatologia della Casa di Cura Città Di Roma è da anni uno dei punti di riferimento della Capitale sia per la quantità, che per la qualità dei servizi erogati. Lo staff opera in molteplici branche della specialità con tecniche e professionisti all’avanguardia in campo nazionale ed internazionale. La chirurgia protesica, la traumatologia complessa e la chirurgia artroscopica rappresentano i fiori all’occhiello di questa divisione. La Chirurgia Protesica si occupa di impianti e revisioni di precedenti impianti, prevalentemente a carico di anca, ginocchio e spalla. Si eseguono infatti protesi mono-comportamentali, protesi totali, e femore - rotulee a carico del ginocchio, protesi femorali, totali ed inverse a carico della spalla a protesi totali e parziali dell’anca. La Chirurgia Artroscopica si dedica selettivamente alle patologie di spalla e ginocchio con il ricorso a tecniche mini-invasive di endoscopia articolare per patologie tendinee (cuffia dei rotatori), legamentose (instabilità-lassità articolari) e degenerative, per caviglia e gomito. Ultima innovazione l’artroscopia dell’anca permette al chirurgo di affrontare quelle serie di patologie degenerative di questa articolazione ad uno stadio iniziale od intermedio. Si eseguono inoltre molti interventi di chirurgia del piede dove la tecnica di correzione percutanea mini-invasiva di deformità dell’avampiede sta aumentando sempre più i suoi campi di applicazione. Realizzati anche interventi per il trattamento di fratture vertebrali con la tecnica della cifoplastica.
L’artroplastica è un intervento il cui scopo è quello di restituire il movimento indolore ad una articolazione e la funzione ai muscoli, ai legamenti e ai tessuti molli che controllano l’articolazione stessa. L’era moderna della sostituzione protesica articolare inizia negli anni 60 con lo sviluppo da parte di Sir John Charnley di una protesi totale dell’anca. Quest’ultima era costituita da uno stelo femorale in acciaio inossidabile che, grazie alla testina femorale, si articolava con un impianto acetabolare di polietilene ad alta densità. Entrambe le componenti erano fissate all’osso sottostante tramite cemento polimetilmetacrilato. Da allora diversi modelli vengono realizzati per le articolazioni del ginocchio, spalla, gomito e caviglia.
La scelta dei metalli impiegati nelle protesi articolari è cambiata nel tempo all’originale acciaio inossidabile di Charnley alle leghe più resistenti basate sul cobalto o sul titanio. Le superfici articolari di carico sono realizzate più spesso in lega di cromo-cobalto-molibdeno per la sua maggiore resistenza all’usura. Gli steli femorali delle protesi d’anca e le componenti tibiali delle protesi di ginocchio invece sono a volte realizzati in lega di titanio per il suo modulo di elasticità più vicino a quello dell’osso. L’uso di accoppiamenti metallo-metallo o ceramica-ceramica e di inserto di polietilene ad alta densità, sempre più tecnologicamente avanzato, mostra una riduzione dell’usura dei componenti protesici attualmente riconosciuta come principale causa di fallimento dell’impianto. L’ obiettivo della sostituzione protesica è quello di alleviare il dolore, restituire la mobilità conservando nel contempo la stabilità e correggere la deformità. Le protesi attuali, correttamente impiantate, ottengono elevate percentuali di successo nel raggiungere questi obiettivi.
La sostituzione protesica articolare trova indicazione nei pazienti con articolazioni artrosiche, dolorose e inabilitanti che non rispondono più al trattamento conservativo e sebbene possa essere indicata anche in individui giovani, l’intervento viene generalmente riservato ai pazienti più anziani e a quelli con uno stile di vita relativamente sedentario.
La procedura di costruzione maggiormente eseguita nell’adulto è la sostituzione protesica dell'anca.
Classicamente i pazienti tra i 60 e i 75 anni erano considerati i candidati più adatti all’intervento chirurgico, ma nell’ultima decade il range di età è stato notevolmente ampliato. In letteratura si è dimostrato infatti che l’età avanzata (oltre gli 80 anni) non rappresenta una controindicazione all’intervento in quanto i risultati sfavorevoli sembrano essere più dovuti alle patologie associate che all’età. Prima di consigliare l’intervento chirurgico devono essere consigliate misure conservative come il calo ponderale, la terapia medica antinfiammatoria, riduzione dell’attività e l’impiego di un bastone. Qualora il dolore dovesse persistere ,nonostante queste misure, limitando il paziente nelle sue funzioni quotidiane e questo fosse associato ad un processo degenerativo, evidenziato radiograficamente, allora l’intervento sarebbe giustificato. Quando il chirurgo ortopedico pone l’indicazione alla sostituzione protesica dell’anca il paziente va studiato attentamente per le sue malattie sistemiche o per le condizioni di base, come patologie cardiache, polmonari, epatiche, ipertensione, che possono controindicare un intervento maggiore di elezione.
Le complicanze possono essere legate in maniera specifica all’intervento, mentre altre sono relative ad ogni procedura chirurgica maggiore eseguita nel paziente anziano. Si distinguono in precoci (lesioni nervose, ematomi e tromboembolie),ed in tardive (mobilizzazioni, rotture delle componenti ed osteolisi). Infezioni, lussazioni e fratture del femore possono verificarsi in ogni momento dopo l’intervento in relazione a diverse circostanze. Questi accadimenti associati a dolore possono portare all’esecuzione di un intervento di revisione di artroprotesi di anca che risulta generalmente più difficile, con risultati meno brillanti, con un tempo operatorio più lungo e una maggiore perdita di sangue.
Nell’immediato post-operatorio l’anca è posta a circa 15° di abduzione con l’utilizzo di un cuscino, nella prima e seconda giornata il paziente inizia la mobilizzazione attiva del collo piede, gli esercizi isometrici del muscolo quadricipite e dei glutei, può stare seduto sul bordo del letto o su una sedia a rotelle. La deambulazione assistita con girello prima e bastoni canadesi poi inizia solitamente tra la seconda e la terza giornata post-operatoria. Il paziente può essere dimesso dall’ospedale quando è in grado di coricarsi e scendere dal letto autonomamente, di camminare in piano e di salire alcuni gradini. Per le prime 6 settimane i pazienti debbono utilizzare un rialzo per il wc e un cuscino tra le ginocchia quando giacciono sul lato non operato. Viene consentito al paziente di fare la doccia quando la ferita chirurgica è completamente guarita. Il paziente quindi viene visitato in ambulatorio circa 6 settimane dopo l’intervento con un controllo radiografico. A seguito di questo e se non vi sono problematiche il paziente può abbandonare prima una e poi tutte e due le stampelle, con una ripresa anche della guida della automobile. Le visite di controllo vengono effettuate a 3,6 mesi ed ad 1 anno.
Anche nella sostituzione protesica del ginocchio l’indicazione principe è data dal dolore associato al reperto radiografico di degenerazione artrosica. La controindicazione all’intervento include una sepsi recente, una deformità in recurvato secondaria ad insufficienza muscolare, la presenza di artrodesi ben funzionante del ginocchio, patologie cutanee, ecc. Disponiamo di diversi modelli utilizzabili secondo le indicazioni cliniche e radiografiche del paziente: protesi condiliche vincolate, protesi a menischi mobili, protesi mono compartimentali, protesi a concetto modulare.
Il paziente nel pre-operatorio viene valutato clinicamente utilizzando una scala che permette di separare le capacità funzionali dei pazienti(dolore, deambulazione in piano e su scale, utilizzo di ausili) dalla funzione pura del ginocchio (range di movimento). Viene sottoposto a radiogrammi sotto-carico in varie proiezioni per stabilire l’asso meccanico dell’arto e viene studiato dal medico internista per le eventuali problematiche cardiologiche e polmonari. Le complicanze sono le medesime della sostituzione protesica dell’anca già descritte precedentemente (tromboembolia, infezioni, dolore rotuleo, danni neurovascolari e fratture periprotesiche).Il paziente nel post-operatorio immediato inizia il movimento passivo del ginocchio attraverso l’utilizzo di una macchina, potrà camminare con ausili già dalla seconda giornata postoperatoria
L'Unità Operativa di Chirurgia Artroscopica e della Spalla si dedica elettivamente alle patologie di questa particolare articolazione anche con il ricorso a tecniche mini-invasive di endoscopia articolare per patologie tendinee (cuffia dei rotatori), legamentose (instabilità-lassità articolari), ed altre patologie. Quando necessario si ricorre anche alla chirurgia a cielo aperto, come per esempio nell'impianto di protesi nei casi di fratture o gravi artrosi. L'Unità si occupa da molti anni e con successo anche di chirurgia mini-invasiva di altre articolazioni come ginocchio, caviglia e gomito, dove l’artroscopia è diventata la tecnica chirurgica più utilizzata proprio per la sua modesta invasività e per un più rapido ripristino della funzionalità.
La chirurgia artroscopica: per vederci meglio
Negli ultimi anni i passi avanti fatti dalla scienza medica sono stati sempre più evidenti. In questa ottica hanno preso sempre più piede le tecniche chirurgiche miniinvasive, anche nel campo dell’ortopedia, dove l’artroscopia ha preso il posto della chirurgia tradizionale per il trattamento di molte patologie articolari. che cosa è l’artroscopia? L’artroscopia, i cui primi rudimenti risalgono all’inizio del secolo scorso, è divenuta sempre più efficace dagli anni ‘70 in poi, specie nella diagnosi e cura di patologie del ginocchio, ma negli ultimi 10 anni si sono perfezionate sempre di più le tecniche applicate anche alle altre articolazioni, come la spalla, la caviglia, il polso e il gomito.
L’artroscopio altro non è che un microscopio collegato ad una telecamera che con cavi ottici e sistemi video permette al chirurgo ortopedico di vedere dentro le articolazioni tramite un monitor. In questo modo si riesce sia ad aumentare la sensibilità diagnostica, sia a rendere possibili diverse procedure chirurgiche che si possono eseguire direttamente all’interno delle articolazioni e che fino a poco tempo fa erano praticabili solo con una incisione chirurgica molto più estesa.
Con l’ausilio di microincisioni (da 2 a 4) di alcuni millimetri è possibile trattare e risolvere lesioni a carico di tendini, legamenti o altre strutture interne, lesioni sconosciute in epoca pre-artroscopica.
Artroscopia di spalla
La spalla è sicuramente l’articolazione più complessa del corpo umano e questo giustifica il fatto che, prima dell’avvento dell’artroscopia, molte patologie della spalla rimanevano misconosciute o etichettate sotto il nome, oramai non più giustificabile, di “periartrite”.
Inizialmente è fondamentale che venga fatta una attenta valutazione del medico curante, che nel frattempo si è sempre maggiormente evoluto, e che sarà in grado di inviare all’ortopedico esperto di spalla tutti quei pazienti affetti da “sensazione della spalla che esce” o “dolore alla spalla” che non si risolvono con pochi giorni di terapia antinfiammatoria.
L’ attuale insostituibilità della artroscopia è data dalla possibilità della iniziale fase “diagnostica” che serve a confermare l’esatta area della patologia e la diagnosi pre-operatoria; a questo punto l’intervento può essere svolto e completato interamente in artroscopia se la manualità del chirurgo e la lesione lo consentono o con una successiva procedura chirurgica per via “aperta”.
Quando l’artroscopia di spalla?
Le lesioni che possono essere trattate in artroscopia sono tutte quelle a carico dei tendini ( cuffia dei rotatori, capo lungo del bicipite), quelle dovute ad una riduzione dello spazio di scorrimento del tendine (sindrome da conflitto acromion-omerale), ad una artrosi acromion-clavicolare
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Si possono trattare con successo inoltre anche le lesioni dei legamenti per esiti di lussazioni (instabilità maggiori di spalla) o di sub-lussazioni e microtraumi ripetuti (instabilità minori) tipiche di attività cosiddette “overhead”- sopra la testa-(tennisti, lanciatori, lavoratori manuali, ecc).
Patologie che invece si avvalgono maggiormente di presidi medici o fisiochinesiterapici e che richiedono l’intervento in artroscopia solo in alcuni casi selezionati sono la capsulite adesiva(la cosiddetta spalla rigida o congelata) e la tendinopatia calcifica.
Prima dell’artroscopia…
Il chirurgo della spalla, previa una attenta raccolta dell’anamnesi e delle abitudini di vita e lavorative del paziente, effettuerà un accurato esame clinico per indirizzare il sospetto diagnostico, per escludere patologie che spesso possono confondersi o coesistere con problemi alla spalla ( es: dolori da artrosi cervicale o da postura errata).
Avendo infine a disposizione gli esami precedentemente prescritti può fare la diagnosi e consigliare il trattamento che potrà essere quello di riparazione in artroscopia ma anche medico e fisiochinesiterapico o in casi limitati adatto alla chirurgia classica a cielo aperto (es: protesi di spalla).
Avendo infine a disposizione gli esami precedentemente prescritti può fare la diagnosi e consigliare il trattamento che potrà essere quello di riparazione in artroscopia ma anche medico e fisiochinesiterapico o in casi limitati adatto alla chirurgia classica a cielo aperto (es: protesi di spalla).
Durante…
A seconda dell’organizzazione dell’ospedale il ricovero del paziente può avvenire la mattina stessa dell’intervento chirurgico quindi in day-hospital o la sera prima dell’intervento .
L’intervento viene eseguito in genere in anestesia loco-regionale (preferita) o in anestesia generale a seconda delle condizioni generali del paziente e della scelta dell’anestesista, in una sala operatoria standard normalmente attrezzata con la presenza di assistenza anestesiologica ed infermieristica.
La durata degli interventi chirurgici va da 30 minuti a un’ora e mezzo circa a seconda della patologia da trattare.
Dopo…
Il paziente viene dimesso il giorno successivo, indosserà per un periodo che va da 1 a 4 settimane un tutore per spalla di dimensioni diverse a seconda del tipo di intervento effettuato ed inizierà dopo pochi giorni ad eseguire degli esercizi secondo le disposizioni del chirurgo.
Il recupero completo è variabile a seconda del tipo di lesione e quindi di riparazione che si è dovuta eseguire, ed è importante che il paziente rispetti le indicazioni fornite dal chirurgo o dai suoi collaboratori perché nonostante le piccole incisioni sulla pelle è stato eseguito un vero e proprio intervento all’interno dell’articolazione.
Per concludere…
La suddetta capacità di diagnosticare patologie complesse nella prima fase dell’intervento fanno già preferire questa tecnica a quella tradizionale per molteplici patologie, ma in realtà ci sono altri vantaggi che possono essere individuati in una riabilitazione più semplice( ma non più breve!), un vantaggio estetico per le microincisioni cutanee e minore dolore post-operatorio.
La chirurgia percutanea dell’avampiede è nata diversi anni fa negli Stati Uniti e da circa un decennio ha raggiunto anche l’Europa attraverso la Spagna.
Si tratta di una tecnica chirurgica mini invasiva che, mediante incisioni di pochi millimetri, consente la correzione delle più comuni patologie dell’avampiede, quali: alluce valgo, alluce rigido artrosico, dita a martello, metatarsalgie, deformità delle dita minori.
I vantaggi rispetto alle più comuni metodiche tradizionali si riassumono in:
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minima aggressività chirurgica e conseguente dolore post operatorio ridotto ad una sensazione di fastidio
- anestesia locale e ripresa immediata della deambulazione con pieno carico, utilizzando un sandalo post operatorio a suola rigida e piatta
- nessuna fissazione metallica interna o esterna
- possibilità di operare contemporaneamente entrambi i piedi
Le fratture vertebrali da compressione rappresentano uno dei maggiori fattori invalidanti nella popolazione anziana e in alcune patologie ematologiche e oncologiche.
Sono causa di dolore persistente, cifosi, difficoltà respiratorie, inappetenza, ridotta qualità della vita, tutti fattori che combinati insieme alimentano una spirale negativa dalla quale il paziente osteoporotico o oncologico difficilmente si risolleva. Il risultato finale di questa spirale negativa è una mortalità incrementata di circa il 25%, come dimostrato in alcuni studi clinici recenti.
Vi sono circa 450.000 fratture osteoporotiche all’anno in Europa, (circa 40.000 in Italia), confrontate con le 160 000 fratture di anca e le 150000 fratture di polso. Un recente studio, pubblicato su BONE, stima il costo per la comunità di una frattura osteoporotica in circa 6500 € nei primi 4 mesi.
Il trattamento classico della frattura da compressione vertebrale prevede immobilizzazione del paziente per diverse settimane e eventuale corsetto/busto. I risultati di questo trattamento sono scadenti, appesantiscono una eventuale osteoporosi, data l’immobilizzazione, e non correggono la cifosi, lasciando quindi scoperte le conseguenze secondarie della frattura, dovute alla alterazione della biomeccanica.
Recentemente è a disposizione un procedimento minimamente invasivo per il trattamento delle fratture vertebrali denominato Cifoplastica con Palloncino.
Cifoplastica con palloncino
La "cifoplastica percutanea" si presenta come una evoluzione della vertebroplastica. Lo scopo dell'intervento è di ridurre e stabilizzare la frattura, ripristinare l'altezza del corpo vertebrale e correggere la deformità. Anche questa procedura è specifica per le fratture dolorose da compressione vertebrale e offre un'alternativa valida alle terapie convenzionali. La cifoplastica è un intervento ortopedico minimamente invasivo per pazienti con una o più VCF causate da osteoporosi (primaria e secondaria) o lesioni osteolitiche, compreso il mieloma multiplo.
Indicazioni Cliniche
Osteoporosi severa dolorosa con depressione o frattura da carico della vertebra in contesto recente e/o sintomatico
Tumori vertebrali dolorosi (metastasi o mieloma) cui si associa un rischio di frattura
Angioma vertebrale sintomatico
Fratture traumatiche del tipo A11, A12, A31, o B (in unione a strumentazione posteriore)
Controindicazioni Assolute
Osteomielite nella vertebra interessata da frattura
Coagulopatia non correggibile
Profilassi senza evidenza di frattura acuta
Allergia ai componenti utilizzati
Infezioni sistemiche o locali (spondilodiscite)
Controindicazioni Precauzionali
Dolore radicolare o radiculopatia causata da sindrome compressiva non correlata alla frattura vertebrale
Frammento dislocato posteriormente con compromissione > 20% del canale vertebrale
Tumore esteso all'interno dello spazio epidurale
Frattura traumatica acuta di vertebra non osteoporotica
Compressione severa del corpo vertebrale (vertebra plana)
La frattura traumatica acuta non rientra tra le controindicazioni della Cifoplastica, a patto di adottare l’accorgimento di utilizzare un preparato biologico anzichè il metilmetactilato, nel caso il paziente non sia in età da sospetta osteoporosi.
Diagnosi
E' sempre necessaria una attenta correlazione tra esami strumentali radiologici e clinica per determinare l'eziologia e il livello del dolore. Il reperto radiografico e di Risonanza Magnetica, quest' ultima utile nel valutare l'edema del corpo vertebrale, deve essere correlato alla palpazione clinica del processo spinoso che determina il dolore. La Risonanza Magnetica con sequenze STIR è la più indicata per valutare l'edema mentre può essere necessario eseguire un TAC mirata per confermare la presenza di fratture recenti nei pazienti con fratture multiple perduranti da lungo tempo. In assenza di RMN, è possibile utilizzare la TAC in unione con la scintigrafia. La conoscenza dell’età della frattura, (evento recente, in data nota, presenza di radiogrammi precedenti a breve distanza) è un fattore che potrebbe escludere la necessità della RMN.
Modalità di Esecuzione
La procedura prevede due tempi chirurgici successivi. Nella prima fase, si raggiunge l’interno del corpo vertebrale per via extrapeduncolare o transpeduncolare attraverso uno strumento d’accesso.
Successivamente si introducono attraverso i portali creati dei dispositivi di compressione ossea gonfiabili, ovvero dei palloncini ortopedici non perforabili progettati per gonfiarsi nelle ossa spugnose. Tali dispositivi possono essere osservati con una guida immagini a raggi X poiché sono gonfiati con un mezzo di contrasto radiopaco. L’iniezione di mezzo di contrasto fa aumentare il volume del palloncino. La forza di espansione del palloncino compatta l'osso spugnoso e sposta l'osso corticale. Se l'osso sottoposto a trattamento è solo parzialmente guarito o ha una parte lesionata, l'espansione del palloncino incontrerà resistenza. La pressione che l'osso esercita sul palloncino è proporzionale alla sua resistenza all'espansione del palloncino e può essere misurata con l'indicatore della siringa di gonfiaggio.
Ottenuta la riduzione della frattura, attraverso il risollevamento del piatto vertebrale crollato o la riespansione della vertebra, si procede alla cementazione attraverso PMMA ad ALTA viscosità, introdotto con appositi utensili. L’alta viscosità, la creazione della cavità, l’uso di strumenti di iniezione a bassa pressione e la predeterminazione del volume di cemento da iniettare, possibile attraverso gli strumenti a disposizione, rende il rischio di fughe importanti di cemento praticamente inesistente.
La maggior parte dei pazienti che hanno usufruito di tale terapia hanno riferito una cospicua e completa riduzione del dolore potendo così smettere di indossare il busto, ridurre o sospendere l'assunzione di farmaci analgesici e migliorare così la qualità della vita.
I medici riferiscono di risultati clinici apprezzabili nei pazienti, includendo:
- Immediata scomparsa del dolore
- Riacquisito veloce della mobilità
- Miglioramento della qualità della vita
Dopo un intervento di cifoplastica con palloncino, il paziente deve comunque continuare il trattamento farmacologico e la terapia fisica per curare l'osteoporosi, la malattia primaria che causa le VCF.
Diversi fattori influiscono sulla capacità dei dispositivi di compressione ossei gonfiabili di ridurre una frattura: il grado di guarigione dell'osso, le condizioni dell'osso e un utilizzo ottimale dei dispositivi di compressione ossei gonfiabili.
Grado di guarigione dell'osso. Molte fratture causate dall'osteoporosi non cedono immediatamente, ma gradualmente, con periodi di cedimento e di recupero in un arco di 6-18 mesi. È possibile che le VCF osteoporotiche dolorose non vengano diagnosticate per uno o più mesi e che un paziente debba attendere ulteriormente prima di essere sottoposto a un intervento di cifoplastica. Il grado di possibile riduzione di una frattura dipende quindi dalla componente acuta della frattura. Per massimizzare la riduzione di una frattura è importante effettuare l'intervento il più presto possibile dopo che ci si è procurati la frattura.
Condizioni delle ossa: Non è possibile stabilire se il palloncino potrà ridurre un frattura osteoporotica unicamente in base al tempo trascorso dalla frattura iniziale. Vi sono vari processi, tra cui la non-unione, che possono ritardare la riduzione di una frattura per mezzo di un palloncino. Uno strumento importante per valutare le probabilità che una frattura ossea possa essere ridotta con un palloncino è l'MRI. L'MRI rivela la presenza di edemi locali. I segnali più intensi indicano la presenza di una frattura attiva.
Utilizzo ottimale dei dispositivi di compressione ossei gonfiabili: Per una corretta riduzione delle fratture, i palloncini vanno posti nel corpo vertebrale per evitare che il gonfiamento non venga interrotto prematuramente per contatto con la parete corticale. Vengono utilizzati 2 dispositivi di compressione ossei gonfiabili per massimizzare le possibilità di ridurre la frattura. Il motivo di questo approccio transpediculare bilaterale è che il volume di 2 palloncini gonfiati è maggiore di quello di un solo palloncino. Inoltre questa tecnica consente anche di ottenere un vera riduzione "en masse" attraverso la linea centrale del corpo vertebrale.
Professionalità richiesta
Per eseguire correttamente la Cifoplastica, occorre una esperienza di esecuzione di interventi sotto visione fluoroscopica e di procedure minimamente invasive.
Si richiedono una sala Operatoria o una sala di Radiologia interventistica.
Per la Cifoplastica si raccomanda una esperienza di chirurgia miniinvasiva e l’esecuzione di uno specifico corso di istruzione, per poter massimizzare gli effetti della riduzione della frattura, attraverso il corretto posizionamento degli strumenti.
Strumentario
I dispositivi sono tutti monouso e impacchettati singolarmente, per facilitarne la gestione delle diverse quantità di prodotti, variabili da paziente a paziente.
Degenza
La degenza in condizioni normali, non supera i due giorni, ma alcuni pazienti possono essere dimessi anche in giornata, specialmente se trattati in Anestesia Locale.
Riferimenti Bibliografici
Riferimenti bibliografici relativi ai risultati della Cifoplastica sono riportati di seguito, con i corrispondenti argomenti a cui si riferiscono. Corrispondentemente esistono numerose pubblicazioni di argomento analogo per la vertebroplastica, ad esclusione dell’argomento riduzione della frattura, non contemplato da questa tecnica.
Ripristino dell'altezza
Una media tra 50 e 70% dell'altezza persa del corpo vertebrale viene recuperata.
Sono stati ottenuti ottimi risultati sul ripristino dell'altezza in fratture curate entro 3 mesi dalla comparsa del dolore.
Scomparsa del dolore
Le misurazioni VAS indicano che per la maggior parte dei pazienti, il dolore scompare immediatamente, spesso entro poche ore dalla fine dell'intervento.
La maggior parte dei pazienti passa dall'utilizzo di analgesici a prescrizione medica a analgesici da banco.
Riacquisto veloce della mobilità
Il ricovero medio in ospedale dura da 1-2 giorni. Alcuni pazienti su sedia a rotelle prima dell'intervento di cifoplastica con palloncino sono usciti dall'ospedale camminando normalmente.
Qualità della vita
I pazienti riferiscono di netti miglioramenti della qualità della vita per quanto riguarda, ad esempio, il dolore fisico, la funzionalità fisica, la vitalità e la salute mentale.